Nell’estate del 1996, 7 anni dopo la caduta del Muro di Berlino, decisi di seguire un corso di tedesco alla Technische Universität di Dresda. La prima piacevole sorpresa fu scoprire che il tedesco aveva ancora dei fan. C’erano americani, giapponesi, spagnoli, finlandesi e moltissimi ragazzi provenienti da ex paesi dell’Unione Sovietica. Un crogiolo di culture unite dall’intento di imparare il tedesco. “Non è una lingua poi così di nicchia”: pensai, sollevata. Inoltre il corso era perfettamente organizzato sia nella didattica, che nelle attività per il tempo libero, per cui le giornate risultarono molto stimolanti e dinamiche.

La città rimaneva un luogo difficile e pieno di contraddizioni. Alcuni scorci indicavano un passato prestigioso e ricco, come il Volkspark Groβer Garten circondato da ville dell’800 o lo Zwinger, una delle massime espressioni dell’architettura barocca tedesca. Ma i danni arrecati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dagli anni di occupazione sovietica erano tremendamente evidenti. La Frauenkirche spaccata rappresentava tutte le ferite delle bombe alleate, il cemento grigio imperava in interi quartieri residenziali, le linee architettoniche perfettamente squadrate ed uniformi disegnavano tutta l’area intorno alla stazione centrale ed il corso principale. Pochi erano i supermercati, semplici stanze con scaffalature barcollanti e scatoloni marroni accatastati senza logica, da cui prelevare scatolette e prodotti incellophanati. Sono stati quei pochi turchi che avevano già avuto il coraggio di emigrare, a salvare molte mie cene! Il pomodoro tagliato fresco con cipolla e kebab era il piatto più salutare che si trovasse in giro! Per mettere alla prova il mio tedesco, provai a scambiare due parole con la gente che incontravo per strada. Le interazioni erano complesse. Guardavano noi studenti occidentali con sospetto e timore, come se disturbassimo il loro ordine.

Berlino rappresentò l’incontro con un altro mondo. Decisi di trascorrervi l’ultimo weekend con amici che erano riusciti ad avere le chiavi di un appartamento in un quartiere di Berlino Est. Sul treno la nostra vicina era piuttosto divertita nel vederci comunicare in tedesco. Ci prese in simpatia e, quando arrivammo a Berlino, ci comprò una mappa della città mostrandoci dove dovevamo andare. Non ricordo né la via né il quartiere ma ricordo il complesso residenziale tipico dell’est, composto da tre parallelepipedi fatiscenti con in mezzo un giardino incolto e alcuni giochi per bambini. Quando aprimmo la porta ci trovammo di fronte a calcinacci sparsi in ogni dove, la vasca da bagno arrugginita non emetteva una goccia d’acqua, la cucina aveva un fornello a gas che non abbiamo avuto il coraggio di accendere. La notte dormimmo sul pavimento nei nostri sacchi a pelo impolverati di cemento; qualcuno, penso i legittimi proprietari, entrarono a notte fonda ma alla mattina quando ce ne andammo, non vedemmo nessuno. Berlino era un po’ come questa casa. Calcinacci, ruspe, strade interrotte, gente in movimento ovunque. Potsdamer Platz sembrava uscita da un bombardamento con mezzo muro ancora in piedi, transenne e asfalto scuoiato. Nel mezzo brillava un edificio nuovo di zecca in cui veniva illustrato il progetto di ricostruzione della piazza. Questa struttura sembrava un fiore nel deserto. Arrivare a Checkpoint Charlie fu un’impresa, tra strade chiuse, lavori, deviazioni. Entrati nel Museo del Muro ci si è accapponata la pelle. Le strade appena calpestate erano i luoghi che decine di persone avevano cercato di attraversare, combattendo l’assurdità del potere e la crudeltà umana. Al centro sociale Tacheles, altrettanto diroccato, salimmo le scale imbattendoci in una mostra fotografica ed in gente che aveva fatto di quelle scale e di quelle stanze casa propria.

Berlino era un cantiere attraversato da un fermento e da una vitalità che non ho mai percepito in nessuna altra città europea. I locali risuonavano di musica di ogni genere, gli artisti, provenienti da ogni parte del mondo, trovavano senza difficoltà spazi in cui esibirsi. La bellezza ellenistica racchiusa nel Pergamon Museum, così perfetta, così romantica, così attuale sembrava sussurrare una promessa: “Berlino risplenderà”

Sono passati 25 anni dalla Caduta del Muro, 18 dal mio viaggio, ma ancora oggi Berlino è un cantiere dove migliaia di giovani trovano la libertà di esprimersi e di tentare.

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